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LA LEGGE SULLA TRANSOMOFOBIA E L’ OMOFOBIA TRA GIUDIZIO E PREGIUDIZIO. LA DITTATURA DEL PENSIERO UNICO

Che siamo di fronte ad una crisi sociale e dei costumi senza precedenti della nostra società è cosa assai nota e quasi noiosa a ripetersi, ma quando il diritto, il mondo del diritto, specie l’ ordinamento penale,  si piega all’ ideologia ecco che allora qualcosa di ben più grave si profila all’ orizzonte, così che assai spesso sotto il candido e seducente pudore delle proprie sembianze, si cela quasi sempre il terrificante e oppressivo volto della tirannia.

Basti solo ricordare cosa affermava al riguardo il politologo francese Jean-Luc Domenach allorchè non a caso metteva in guardia contro l’intrusione dell’utopia nella politica che ha sempre finito per far coincidere  perfettamente questa con quella del terrore poliziesco nella società.

Foto Claudio Furlan – LaPresse 10 Ottobre 2020 Milano (Italia) Cronaca Manifestazione Ora Basta! organizzata da movimenti per i diritti lgbt per l’approvazione della legge Zan sulla transfobia Photo Claudio Furlan – LaPresse 10 October 2020 Milano (Italy) News Ora Basta! demonstration organized by lgbt rights movements for the approval of the Zan law on transphobia

Ora che il sistema penale italiano, come sarebbe pleonastico dimostrare, sia in crisi da decenni, proprio a causa dell’iper-penalizzazione delle sue leggi, è fin troppo facile a dimostrarsi, tanto che lo stesso Tacito nei suoi Annali in un celebre aforisma definiva appunto “Corruptissima re publica plurimae leges”, quella Repubblica che attraverso la moltiplicazione delle sue leggi certo non assicurava la qualità di un sistema politicoogiuridico, quanto assai spesso lo pregiudicava. Di rimando lo stesso Cicerone nel De Officiis (ma la sentenza appare assai precedente in Terenzio, Heautontimoroumenos) allorchè ammoniva che Summa jus equivaleva appunto a summa iniuria.

Di questo ne è la altrettanto plastica evidenza quell’ inutile, ridondante ed assai pericoloso disegno di legge (ormai noto alla cronaca come il Ddl Zan), ancor oggi fermo per la sua approvazione al Senato, ma di cui una certa sinistra ideologica vorrebbe la immediata approvazione andando a normare ciò che di fatto risulta già normato.

Si sa i reati non esistono in natura, essi sono una creazione del diritto, ma il diritto deve rispondere a quelli che sono i principi costituzionali sostanziali prima che formali di un ordinamento e che dovrebbero per questo corrispondere a quel “comune sentire” e non certo di quello di una minoranza che fa di questo appunto una questione ideologica prima che normativa.

E quando si vuole reprimere con una sanzione penale e quindi utilizzare la cosiddetta “extrema ratio” un idea (giusta o sbagliata che sia) piuttosto che un azione o una omissione e quindi una condotta relegando al diritto penale ciò che dovrebbe essere invece proprio di una funzione piuttosto rieducativa e sociale, ecco che la deriva della dittatura del pensiero unico è lì dietro l’ angolo.

E questo perché l’ omofobia, come il razzismo e la xenofobia,  lo si rammenta sono appunto fenomeni culturali (direi sottoculturali) e sociali (asociali) prima che giuridici.

Se si va infatti a guardare nel disegno di legge di cui si vorrebbe la tempestiva approvazione sono tre le principali modifiche alla normativa già esistente. La prima riguarda l’aggiunta dei reati di discriminazione basati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genereo sulladisabilità all’articolo 604-bis e 604-ter del codice penale, che puniscono appunto l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi “razziali, etnici, religiosi o di nazionalità”.

La seconda modifica riguarda l’articolo 90 quater del codice di procedura penale laddove  viene definita la “condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa ove in atto si fa menzione al solo odio razziale aggiungendovi appunto le parole“fondato sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.

La terza ed ultima modifica riguarda infine le modifiche al d.lgs. n. 215/2003 sulla parità di trattamento degli individui indipendentemente dalla razza o etnia, al quale aggiunge alcune misure di prevenzione e contrasto delle discriminazioni legate proprio all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

A parte la discutibile tecnica legislativa si trascura il fatto che si tratta appunto di una normativa di per sé pericolosa e nulla di più aggiunge a quanto già previsto in termini di contrasto alla violenza e alle discriminazioni di “qualunque tipo” già punite dall’ ordinamento.

E sono infatti molte le critiche che diversi giuristi muovono all’ impianto normativo in questione a partire dalla equivoca concezione della funzione del diritto penale sopra citata. Il diritto in genere, e quello penale in particolare, dovrebbe occuparsi delle sole condotte (attive o omissive)  e non certo della correzione delle idee e dei sentimenticosì cheun pensiero razzista o anche omofobo non possa e non debba essere punito solo in quanto tale, ma soltanto allorchè si traduca in qualche atto compitamente e materialmente antigiuridico.

In questo senso, peraltro, è sempre difficile comprendere come inquadrare normativamente un atteggiamento o un pensiero omofobo, rispettando i principi generali del diritto penale, come il principio di legalità, il principio di materialità della condotta in rapporto causale diretto con l’ evento e, e soprattutto, con  il principio di tassatività “nullum crimen, nulla pena sine lege” di cui il progetto in questione appare esplicita violazione.

Ed in virtù di ciò non si può fare a meno di notare che le norme punitive esistono già e che, dunque, non si necessita di creare una nuova fattispecie criminosa non più di quanto lo necessiti il femminicidio ed il geronticidio, rispetto all’ omicidio e alle sue aggravanti visti i molteplici casi di violenze ai danni delle donne e degli anziani di cui quotidianamente è piena la cronaca.

Ed è  tanto è inconsistente la pretesa incriminatoria che lo stesso testo in esame si premura, nel suo primo articolo, di fornire delle definizioni artificiose quali quella di cosa si debba intendere per sessogenere, orientamento sessuale, identità di genere  (sic). Definizioni poste con tutta onestà intellettuale al di fuori delle leggi naturalistiche e biologiche che fino a prova contraria (senza voler essere terrapiattisti) sanciscono la innegabile dualità della dimensione sessuata del mondo animale e dell’essere umano secondo la dicotomia maschile e femminile.  La legge, così com’ è finisce infatti per introdurre inevitabilmente un ampio margine discrezionale dell’interprete, cioè del giudice, violando appunto quei principi generali dell’ordinamento, che dovrebbe invece fondarsi sulla ferma linea distintiva tra giudizio e arbitrio, tra Stato totalitario e Stato di diritto, tra diritto della forza e forza del diritto. Così come Carnelutti allorchè affermava che  il giudice doveva semplicemente avere il solo compito di “rivestire della carne concreta del fatto lo scheletro della norma” tassativamente posta.

Ma il profilo che desta maggiori preoccupazioni, è soprattutto la possibilità concreta che la legge in via di approvazione possa tradursi in un vero e proprio vulnus alla  libertà di pensiero e di coscienza di tutti coloro che per convinzione personale, per il proprio credo religioso, per la propria prospettiva filosofica ed etica, non ritengono che ci possa essere una distinzione tra sesso e genere, ovvero che la famiglia naturale, ex articolo 29 della Costituzione, sia appunto quella fondata sulla dicotomia naturale maschile e femminile, o, da ultimo, che la maternità surrogatasia e debba rimanere un grave reato poiché lesiva della dignità del medico, della donna, e del nascituro.

D’altronde, la bozza normativa sembrerebbe andare proprio in questa direzione già nel titolo che descriverebbe il reato: “Propaganda di idee […] e atti discriminatori […] fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere […]”. E poco rassicura, anzi tutt’ altro, che sembra salvaguardarsi “la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori.

La verità è che non esiste un vuoto normativo nella disciplina giuridica italiana, e già oggi c’ è il diritto alla vita, e quindi a non essere discriminati per sesso, religione, razza o lingua.

Ciò che si teme pertanto è che il vero intento del disegno di legge in questione sia proprio quello di elevare il pensiero unico a modello assicurando che qualsiasi rigurgito di buon senso venga prontamente messo a tacere dall’ ossequio al “politically correct” a senso unico.

Una situazione paradossale che porta a conseguenze paradossali come in Finlandia ove esiste qualcosa di simile e dove viene rinviato a giudizio un ex ministro soltanto reo di aver citato la Bibbia.

Per carità si tratta di idee e le idee andrebbero comunque rispettate nei limiti in cui esse non comportino violenza o discriminazione così come ebbe a dire lo stesso  Voltaire, alias Francois-Marie Arouet (ma per il vero la frase è da ricondurre alla scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall,nota con lo pseudonimo di Stephen G. Tallentyre),“Non condivido le tue idee ma darei la vita per permetterti di esprimerle”.

Ma un conto le idee ed i giudizi ed un conto sono i pregiudizi ideologici e la presunzione che questi camminino sulle gambe delle leggi in quanto,  come ebbe a dire Woody Allen,  “ Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare gli imbecilli, mentre il contrario è del tutto impossibile”. E dire che di questa legge ve ne sia bisogno non equipara certo ad essere imbecilli, ma intellettualmente disonesti certamente si.

Mauro Mancini Proietti

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