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MUSICA E SPETTACOLO, GLI ARTISTI SI UNISCONO PER AIUTARE I LAVORATORI COLPITI DALLA CRISI

C’è tutto un mondo che sente di dover far fronte ad un’emergenza nell’emergenza. Un mondo che, ora più che mai, vive un momento di abbandono. C’è tutto un mondo che sta provando a sopravvivere in questi mesi di pandemia nell’incertezza più totale. Perché oggi non sa come fare per andare avanti, ma domani non saprà proprio dove andare. Se è vero che il Governo ha promesso fondi e aiuti economici per il mondo della cultura, è altrettanto vero che c’è tutta una filiera produttiva, di cui fanno parte lavoratori autonomi o con contratti brevi, indispensabile per lo svolgimento di spettacoli teatrali, musicali e culturali in generale. Lavoratori che non si sono visti riconoscere le giuste tutele e aiuti economici per far fronte ad una situazione di emergenza come quella in cui ci ritroviamo da quasi un anno, ormai.

In questo contesto si colloca il primo fondo con cui il mondo degli artisti si è unito a quello degli enti privati per dare un contributo a questa filiera produttiva. Si chiama “Scena Unita” ed è gestito da Cesvi, organizzazione umanitaria italiana, laica e indipendente, fondata a Bergamo nel 1985 per supportare le popolazioni nella promozione dei diritti umani e nel raggiungimento del benessere collettivo. Una buona notizia per lavoratori del mondo della musica e dello spettacolo, duramente colpiti dalla crisi economica causata dal Covid-19.

E che, questa volta, rischiano di non rialzarsi davvero più. Parliamo di un comparto che negli anni ha generato una crescita economica per il settore culturale, garantendo lo svolgimento di spettacoli, produzioni e la crescita di artisti emergenti. Club, teatri, spazi e luoghi culturali che hanno investito tantissimo, creando opportunità di lavoro e offrendo un ventaglio di servizi ad un vastissimo pubblico. Molti hanno chiuso la scorsa primavera e non hanno più riaperto. Altri, a fatica, sono riusciti a rimboccarsi le maniche e riguadagnarsi la fiducia del proprio pubblico. Ma oggi, a fronte delle disposizioni previste dall’ultimo DPCM e dalle ordinanze del ministero della Salute e quelle regionali, hanno dovuto abbassare le luci e chiudere il sipario ancora una volta. Esattamente come tutte le altre attività che più volte dal Governo sono state definite “non essenziali”. Anche se qui di “non essenziale” non c’è veramente nulla. Perché parliamo di una filiera dietro cui ci sono lavoratori, persone, famiglie, vite. Storie che hanno più volte alzato la voce. Lo hanno fatto in diverse piazze d’Italia. Si sono fatti sentire in diverse occasioni davanti Montecitorio. Ma hanno anche lanciato un appello al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo Dario Franceschini per dire no alla chiusura di teatri e cinema. Ribadendo, soprattutto, il rischio bassissimo, se non addirittura nullo, dei contagi all’interno di questi luoghi.

Dati alla mano, è proprio un’indagine elaborata dall’AGIS – Associazione Generale Italiana dello Spettacolo – a certificare che su circa 350mila spettatori (divisi in poco meno di 3mila spettacoli tra lirica, prosa, danza e concerti), nel periodo compreso tra il 15 giugno (giorno della riapertura dopo il lockdown) ad inizio ottobre, si è registrato un solo caso di contagio da Covid-19 sulla base delle segnalazioni pervenute dalle ASL territoriali.

Insomma, l’unione fa sempre la forza. E sapere che il mondo degli artisti è sceso in campo a tutti gli effetti per aiutare concretamente un comparto in difficoltà, fa piacere. Ma non può essere l’alternativa ad aiuti economici che mancano. Non può essere la soluzione al problema. E’ bene pensarci. Ed è bene farlo adesso. Perché domani può essere già troppo tardi.

Irma Annaloro