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Referendum abrogativo, elezioni amministrative, Recovery plan e Recovery fund…

…rilancio dell’ economia e revisione del Patto di Dublino. Tanti i temi sul tavolo: la speranza è che almeno in parte non siano tanto rumore per nulla.

Non è dato sapere al momento in cui si scrive se nelle prime ore dell’ alba di martedì 22 settembre verrà a profilarsi una vittoria da parte delle attuali forze di governo sia per quanto concerne le elezioni regionali che per quanto concerne il referendum abrogativo sulla riforma inerente il taglio dei parlamentari, ovvero si profili una loro pesante sconfitta.  Quello che è certo è che a parte i vari distinguo che come da prassi verranno affermati da parte di chi apparirà lo sconfitto di turno nella ormai più che collaudata arte di trasformare in una straordinaria vittoria una piccola affermazione, ed in un quasi pareggio quella che a tutti apparirà invece una sconfitta con conseguente regolamento di conti interno, l’ esito di questa tornata elettorale non potrà risolversi in un tamquam non esset.

Rimanendo infatti sullo sfondo il sogno di quelle riforme istituzionali di cui da oltre cinquanta anni il Paese ha bisogno al fine di uscire da quell’ immobilismo a cui l’ Italia in virtù di una Carta Costituzionale preoccupata più ad arginare, contrastare,  bilanciare e negoziare più che a permettere di governare, è infatti chiaro che seppure difficilmente avremo linee di indirizzo forti e precise così come una linea politica netta, è anche vero che i risultati in questione qualunque essi siano avranno la conseguenza di ridisegnare i rapporti di forza all’ interno delle singole coalizioni se non il loro stesso riposizionamento secondo la convenienza politica del momento.

Sono gli effetti di quel compromesso storico che in seno alla costituente di allora fu fatto tra le forze di matrice socialista che guardavano ad est verso l’ Unione Sovietica e quelle maggiormente conservatrici di stampo cattolico che guardavano invece ad ovest verso gli Stati Uniti. Così che con la “rivoluzione promessa” queste ultime compensarono le prime della “rivoluzione mancata” come ebbe a dire Salvemini all’ indomani dei lavori. Ne venne fuori così quel cattocomunismo, ideale punto di incontro tra orientamento marxista e socialista e orientamento liberista e di mercato a seguito del quale istituti ed istituzioni furono condannate al perenne compromesso.  

Di qui la salvaguardia della proprietà pur rimarcando la funzione sociale di questa per la quale la stessa poteva essere limitata o espropriata e della libera iniziativa economica la quale a sua volta poteva però incontrare il limite della garanzia di rimuovere le disuguaglianze sociali e la garanzia delle prestazione previdenziali e sociali oltre che della universalità dei servizi pubblici essenziali. Di qui ancora le ibride forme di Stato e di Governo in cui assai incerta la natura e la preminenza del premier rispetto al Consiglio dei ministri, l’ esistenza di un bicameralismo perfetto assolutamente inutile e senza alcuna ragione giuridica, un eterno conflitto di poteri e di attribuzioni in quel check and balance nel quale la magistratura si erge come potere autoreferenziale assoluto e di casta che da sempre ha condizionato governi e parlamenti con il ricatto dell’ esercizio dell’ azione penale troppo spesso “ad orologeria”.

Ed infine come se non bastasse tutto questo viene condito da leggi elettorali che in barba alla volontà popolare espressa anche in via referendaria per il maggioritario puro, ci consegnano ad un sistema misto nemmeno bipolare, quanto addirittura collegiale, più rappresentativo che selettivo, con il risultato che non è quasi mai chiaro chi governa e come governa stante anche il fatto che gli stessi programmi elettorali dovranno essere sempre necessariamente approssimativi e non veritieri, vista la necessaria costrizione delle coalizioni a soggiacere allo stato di ricatto permanente di piccoli partiti della coalizione stessa che pur con il loro zero virgola condannano all’ immobilismo.

Non avendo quindi alcun potere divinatorio, né tantomeno aruspici a disposizione in grado di predire il futuro, torno semplicemente ad affermare che se vi sarà o meno il taglio dei parlamentari, dovrà essere chiaro a tutti che non solo non porterà alcun risparmio, anzi vi sarà un aggravio di spese atteso l’ ulteriore prolungamento dei lavori parlamentari ed il raddoppio delle presenze in commissione dei singoli deputati oltre che a prolungare semmai ve ne fosse stato il bisogno il farraginoso meccanismo della produzione giuridica. E non è tanto un problema di minore rappresentatività, quanto piuttosto un problema legato allo stesso meccanismo delle fonti sulla produzione giuridica stante un bicameralismo che non ha nessuna ragion d’ essere e che durante i lavori della Costituente fu ripreso da altri ordinamenti che lo prevedevano nella misura in cui le due camere rappresentavano diversi interessi come in Francia o in Germania.

La predetta riforma così com’ è quindi non soltanto è inutile ma anche dannosa e risponde solo e  soltanto (lo dicono eminenti costituzionalisti) ad esigenze di facciata e di convenienza politica a cavalcare l’ antipolitica imperante. Cosa diversa invece se detta riduzione corrispondeva ad una riforma della costituzione che prevedesse l’ abolizione del bicameralismo perfetto per prevedere in sua vece due camere di cui una rappresentativa dei territori (Stati federali o regioni) e l’ altra lo Stato comunità, ognuna competente a legiferare su un elenco di materie prestabilite a seconda che si tratti di leggi riguardanti le autonomie o leggi riguardanti materie di interesse nazionale secondo i criteri di sussidiarietà di matrice europea basati sulla differenzazione, proporzionalità ed adeguatezza. Ma anche qui come ebbi a dire, se possa questo significare o smuovere qualcosa nella necessità di riformare ben venga. Saranno le urne a dircelo.

E tantomeno  è dato sapere a prescindere da quale sarà l’ esito del voto regionale se e come questo potrà condizionare la permanenza al potere da parte di chi in cambio della sopravvivenza politica ha svenduto il nostro Paese, le nostre imprese, il nostro made in Italy. 

Quello che è certo è solamente il fatto che ci attende un autunno caldo e non soltanto per la crisi che morde quanto piuttosto nel momento in cui finalmente le menzogne e le omissioni di oggi dovranno essere forzatamente disvelate a partire dal bluff dei recovery found a cui l’ Italia non potrà accedere nella misura in cui viene ventilato e ancora nella misura in cui dovrà necessariamente dirsi che non sono regali ma prestiti su cui dovremo versare interessi.

Ma è questione di poco in quanto se il film dal finale scontato i più non sanno vederlo, basterebbe guardare il trailer per capire di cosa si tratta. Ed il trailer sta tutto nel Recovery plan ossia nel libro delle favole scritto in poche paginette con le quali il Governo presenta al Parlamento tutto quello che intende fare e che non farà mai per il semplice fatto che è oggettivamente impossibile.

Se non si trattasse di favole noi continueremo a credere che loro faranno in tre mesi quello che in Italia non è stato fatto negli ultimi 70 anni….e basterebbe anche solo pensare che per molte di quelle riforme che loro intendono  per fatte bisognerebbe anche modificare la Costituzione per la quale rammento occorre il procedimento di cui all’ art. 138 della Costituzione stessa pur comprendendo che per molti di loro che siedono in Parlamento non sanno nemmeno cosa esso prevede.

Eppure la vicenda per chi anche ha solo letto per errore il TUE ed il TUEF dovrebbe essere abbastanza chiaro in quanto tutto espressamente scritto con norme di diritto positivo. Per avere detti fondi (ergo prestiti), sia pure a rate nei prossimi anni, l’ Italia dovrà consegnare a breve a Bruxelles un programma con l’indicazione puntuale di alcune riforme che i governi italiani non sono mai riusciti a fare negli ultimi 30 anni, in alcuni casi (burocrazia e giustizia) neppure a partire dal dopoguerra. Anche il recente accordo salutato come un successo (sic), prevede infatti che il prossimo autunno il governo italiano, come precondizione per accedere al Recovery fund, dovrà presentare un Piano nazionale di riforme molto dettagliato e strutturato che andrà passato al vaglio della Commissione che deciderà entro due mesi in ordine alla sua approvazione in base ai criteri stabiliti da Ursula von der Leyen. E qui basta rifarsi alle sue linee programmatiche da poco presentate al Parlamento europeo: si va dall’ avvio di una credibile green economy e digitalizzazione del sistema Paese per poi passare alle Raccomandazioni Ue già comunicate agli inizi del corrente anno al Governo italiano in ordine all’obbligo di attuare riforme strutturali in materia di previdenza (leggi pensioni e abolizione di quota cento), lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione, sanità. Riforme strutturali che in Italia rammento non sono state attuate per decenni ed  ora da presentarsi entro la fine di quest’anno. Ci sarebbe da ridere se non si trattasse di una tragedia.

Ovviamente ci limiteremo come sempre fatto a presentare pagine e pagine di progetti in cui sarà contenuto tutto ed il contrario di tutto in materia di buone intenzioni. Ma come si sa di buone intenzioni sono lastricate le vie dell’ inferno con il risultato che gli oltre 200 miliardi promessi dal Recovery fund, tra sussidi e prestiti, resteranno sulla carta, bloccati da quegli stessi  veti politici introdotti proprio dall’intesa raggiunta a Bruxelles dopo quattro giorni di faticose trattative.

Ed è così che il nostro Governo (e lo sa benissimo) incontrerà gli ostacoli più insidiosi proprio in sede di approvazione del nostro libro delle favole che si rammenta dovrà essere approvato  da un gruppo di paesi che rappresenti almeno il 35% della popolazione europea. Tetto superiore alla somma dei cosiddetti paesi frugali, ma che è facile immaginare essi possano facilmente aggirare anche solo alleandosi con un qualsiasi altro Paese medio grande.

Se pure vi fosse qualche dubbio va anche rammentato che lo stesso Premier olandese ha chiesto ed ottenuto quello che poi si rivelerà un vero e proprio potere di veto e di condizionamento sugli esborsi in vista degli obiettivi intermedi del piano di riforme, attesa la necessità che questi dovranno essere valutati anche in sede Ecofin da parte dell’ Eurogruppo.

E visto che i finanziamenti  saranno erogati sulla base dei vari anni a venire ecco che i Paesi c.d. frugali  hanno pensato bene di introdurre un ulteriore paletto ancora, nella misura in cui questi dovessero riscontrare serie deviazioni dai target prefissati allorchè avranno la facoltà di chiedere che la situazione di un singolo Paese sia trasferita in valutazione del primo  Consiglio dei ministri  Ue previo blocco momentaneo dei pagamenti da parte della Commissione.

E sul fatto che vi saranno scostamenti è nella natura delle cose atteso che fra i sette obiettivi che la Commissione ha prescritto siano inseriti nei Piani nazionali si annoverano la promozione dell’ energia pulita, il miglioramento dell’ ‘efficienza energetica degli edifici pubblici e privati, lo sviluppo delle nuove tecnologie nei trasporti, il rafforzamento della banda larga, in particolare 5G, la  digitalizzazione della pubblica amministrazione, la riforma della  giustizia e della sanità oltre che ad un generale riadattamento del sistema educativo rispetto alle nuove necessità. E tutto questo in tre mesi.

Occorre forse altro per capire si tratti di un bluff e che si dovrà necessariamente dirottare sul MES, altra forma di prestiti atteso che questo Governo tira dritto sul fatto di voler consegnare in mani estere il nostro debito pubblico fino ad oggi ancora in prevalenza in mano interna. Preferisce in definitiva pagare interessi agli altri Paesi piuttosto che al mercato interno con buona pace di tutte le dichiarazioni fate di sostegno alle famiglie e di incremento della domanda interna lorda.

E non è nemmeno vero che l’ Europa ci stia volendo poi così bene su altri fronti anche solo riguardando il fatto di aver accettato (a parole) di rivedere il patto di Dublino in materia di immigrazione e richiesta di asilo. Il progetto nei cassetti continuerà infatti a prevedere che gli stranieri e le richieste di asilo dovranno essere procedimentalizzate dal Paese di primo ingresso ove questi con le loro sceneggiate in mare continuano a sbarcare. E poiché gli altri Paesi semplicemente non li prendono ecco che gli sbarchi continueranno ad avvenire nel nostro Paese privo di porte e finestre. Ma in fondo si sa…il ladro entra laddove gli lasci la porta aperta e visto che gli altri nel rimproverare a suo tempo il nostro Paese di chiudere la porta di casa avevano ben cura di chiudere a doppia mandata la loro, ecco che i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma avere il tutto sotto gli occhi non significa vedere e di questo ne siamo certi.

Non sappiamo quindi cosa potrà accadere all’ esito di questa tornata elettorale, ma una cosa è certa sin da ora e la sappiamo benissimo   e cioè solo un popolo di sordi e ciechi poteva arrivare a tanto sfacelo. Ed in fondo lo si sa, senza che nessuno faccia nulla, ognuno finisce per avere ciò che si merita.

Mauro Mancini Proietti