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La terra: saperla coltivare, cogliere la differenza tra vivere e morire.

La terra è, da sempre, uno dei beni più preziosi per l’uomo. Fin dagli albori delle civiltà, anche quelle più primitive, saper coltivare la terra ha spesso rappresentato la differenza tra vivere e morire.

Lo sanno bene anche gli studenti di “estimo”, che uno dei beni limitati al mondo è il terreno, e che questo assume quindi un importante valore, simbolico ed economico.

Il suo essere un bene limitato, infatti, lo rende sempre più prezioso in maniera proporzionale alla continua crescita demografica e allo sviluppo economico: entro i prossimi 10 anni il continuo aumento della domanda di alimenti  e di energia tratti dalla terra richiederà in tempi brevi la necessità di adeguare l’agricoltura ai sempre più ricorrenti rischi climatici e di ridurre l’impatto delle emissioni agricole. Il tutto in un quadro che prevede, in Europa, una crescente perdita di biodiversità come conseguenza di pratiche agricole intensive e dell’abbandono di determinate colture, oltre a fenomeni come il degrado del suolo, la costante morìa degli agenti impollinatori, l’indebolimento del controllo biologico naturale di parassiti e malattie e la perdita di diversità genetica nel mondo vegetale e animale.

Si rende sempre più urgente, quindi, anche e soprattutto alla luce del continuo aumento della popolazione mondiale, che entro la fine del 2100 raggiungerà i 10 miliardi di individui, l’attuazione di politiche volte a garantire la sicurezza alimentare e il sostentamento di una popolazione sempre più esigente, abituata a consumare più alimenti lavorati, prodotti animali, e dalle tendenze alimentari mutevoli e fortemente votate allo spreco.

Parlare di una “intensificazione sostenibile” dell’agricoltura nell’UE, significa quindi tenere in profonda considerazione la mutua relazione tra agricoltura, cambiamenti climatici e biodiversità, nonché i risvolti impattanti che su di esse avrà la domanda globale di prodotti alimentari: è infatti stato stimato dall’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) che nei prossimi 40 anni questa crescerà del 70%. Tale domanda globale di prodotti alimentari potrà essere soddisfatta solo aumentando la disponibilità di terreni da coltivare (riconvertendo quindi terrenni attualmente non adibiti a tale scopo) e incrementando le rese.

Sullo scacchiere mondiale, che vedrà l’Africa come particolare interlocutore, attuando le giuste manovre l’Europa potrà giocare un ruolo comunque fondamentale, soprattutto per quanto riguarda la produzione di cereali nelle aree orientali. Lo scenario attuale vede infatti l’Europa occidentale oggetto di produzioni ad alto impatto ambientale, con conseguenze al limite dell’irreversibilità in termini di sfruttamento delle risorse idriche e del suolo.

Si rende quindi sempre più necessaria ed urgente una vera e propria inversione degli effetti ambientali negativi che gli attuali sistemi di produzione comportano, che porti in tempi brevi a raggiungere il traguardo di una agricoltura più sostenibile e lungimirante, resiliente ed efficiente nell’UE.

In questo senso, di strategica importanza sarà il ruolo ricoperto dalle cosiddette aziende agricole a conduzione familiare, cui dedicare una politica di agevolazioni e incentivi volti a potenziare lo sviluppo di una biodiversità modulata  e programmata.

Ma cosa si intende, nello specifico, per azienda agricola familiare? La FAO definisce l’azienda familiare come una “organizzazione della produzione agricola, forestale, ittica, pastorale e di acquacoltura gestita e messa in opera da una famiglia che si basa prevalentemente su lavoro familiare, sia maschile sia femminile; la famiglia e l’azienda sono collegate, co-evolvono e combinano funzioni economiche, ambientali, riproduttive, sociali e culturali”. L’azienda agricola familiare controlla “la gran parte delle risorse necessarie (terra, immobili, colture, animali, macchinari, conoscenza, reti, ecc.) e i suoi membri forniscono gran parte del lavoro. I numeri, In Italia, confermano appieno questa definizione: nel 96,4% dei casi, infatti, il conduttore è proprietario diretto dell’azienda, e il 77,4% della manodopera è prestato dal conduttore e da suoi parenti, familiari e congiunti.

È stato stimato che una azienda a conduzione familiare lavora su terreni di estensioni variabili, con una media per singola azienda di circa 7,2 ettari: qui operano i diversi membri della famiglia, ognuno spesso con ruoli diversi che ricoprono ambiti di multidisciplinarità utili a ridurre considerevolmente l’apporto di soggetti “esterni”. Il profilo di una famiglia dedita quasi, se non completamente, all’attività agricola, in Italia è ben delineato: si tratta di aziende i cui lavoratori-familiari sono disponibili a svolgere attività extra-aziendali, flessibili sulle ore di lavoro e maggiormente predisposti al sacrificio, dipendenti dall’attività lavorativa per l’auto-sostentamento, fortemente legati al territorio, al paesaggio rurale e all’ambiente, alle tradizioni e ai saperi, anche storici, della “propria gente”.

Le aziende agricole familiari mantengono sempre viva l’attenzione ai dettagli, ai saperi e ai sapori dei prodotti, alla ricchezza del terreno e tendono a privilegiare colture, anche se di piccola scala, biologiche e di qualità: aspetti molto importanti, questi, che rendono queste piccole realtà locali l’interlocutore ideale di politiche volte a tutelare l’ambiente e la biodiversità attraverso l’applicazione di metodi agricoli meno intensivi, a basso impatto ambientale e biologici che possano affrontare positivamente le sfide legate a cambiamenti climatici, degradazione del suolo, inquinamento e perdita di biodiversità.

Le aziende agricole familiari, inoltre, “producono” beni immateriali che le aziende su larga scala non saranno mai capaci di offrire: si tratta di quel patrimonio socio-culturale rappresentato dal sapere antico, dal patrimonio culturale, dalla tradizione locale, dalla cucina delle nonne. E ancora: i beni immateriali sono anche tipo ambientale (le aziende familiari sono particolarmente attente alla tutela dell’habitat e al mantenimento della biodiversità e privilegiano colture biologiche a basso impatto ambientale) ed economici (spesso insistono su aree rurali altrimenti spopolate, offrono occupazione, creano reti di collaborazioni con aziende locali il cui ambito di attività opera in parallelo, come quelle che forniscono macchine agricole e prodotti per l’agricoltura o aziende di packaging, ecc.). 

Politiche attente alle realtà locali, lungimiranti e volte a rafforzare il tessuto socio-economico del nostro Paese in particolare e dell’Europa in generale non possono non passare attraverso la valorizzazione delle aziende agricole familiari. Esse rappresentano, infatti, il perfetto connubio tra tradizione, saperi antichi,  dedizione al lavoro e capacità di adattarsi ai cambiamenti sociali, economici e climatici, con lo sguardo rivolto al futuro e la consapevolezza che la qualità dei prodotti e l’amore per ciò che fanno sono i loro beni più preziosi.

“Dimenticare come zappare la terra e curare il terreno significa dimenticare se stessi.”, diceva Mahatma Gandhi.