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Riportiamo a casa tutti gli italiani detenuti all’estero

E’ stata una bella notizia nel mezzo di un crisi economica e sanitaria. L’annuncio dell’imminente ritorno in Italia di Chico Forti, velista e produttore televisivo Trentino, dopo quasi vent’anni nell’istituto di pena di Everglades (è stato condannato per omicidio negli Stati Uniti), ha fatto tirare un sospiro di sollievo a tutta Italia. Un incubo finito, per Forti e per tutta la sua famiglia, che ha riacceso una luce di speranza nei cuori di chi si augura che presto, in Italia, possano fare rientro anche tutti gli altri nostri connazionali detenuti all’estero in regimi duri.

Sono tanti, troppi. Stando agli ultimi dati della Farnesina, sono poco più di 2100 gli italiani reclusi nelle carceri di tutto il mondo. Di questi, almeno 500 si trovano in Paesi dove la loro incolumità è messa a serio rischio o vivono in condizioni di vita inumane e senza che gli siano garantiti dei diritti. A partire da quello della propria difesa. Pensiamo ai nostri italiani a cui non è garantito un giusto processo o anche solo un interprete nel corso degli interrogatori. Pensiamo, ancora, a quelle autorità che impediscono oppure ostacolano la divulgazione di notizie su questo o quel processo in modo che nessuno possa sapere cosa stia realmente accadendo. Parliamo di Paesi extra Ue, delle Americhe e del Medio Oriente. Dove non sempre la voce degli uffici consolari e diplomatici riesce a farsi sentire. In Italia c’è una Carta Costituzionale che riconosce e garantire la difesa come “diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”. Ma c’è anche una convenzione, parliamo di quella di Strasburgo del 1983 (che il Governatore della Florida ha accettato di far valere nei confronti del nostro connazionale Chico Forti) che permette ad un detenuto condannato in via definitiva di scontare la pena nel proprio Paese.

Da diversi anni è attiva una Onlus nata con l’intento di salvaguardare i cittadini italiani detenuti nelle carceri stranieri e di garantire loro la tutela dei diritti fondamentali, come quello alla salute e ad un equo processo. Si chiama “Prigionieri del silenzio”. L’associazione ha lavorato e sta continuando a farlo nel migliore dei modi. Ma non basta. E’ bene che il nostro ministro degli Esteri rispolveri il dossier che riguarda questi nostri connazionali, a cui sono stati tolti diritti e voce. Non possiamo permettere che ci siano più di 2 mila italiani reclusi in condizioni inumane. Tra questi, più della metà sono in attesa di giudizio e in pochissimi risulterebbero in attesa di essere estradati in Italia per scontare la pena nei nostri penitenziari. Pensate, poi, all’ipotesi in cui queste persone potrebbero essere innocenti e ingiustamente recluse. D’altronde, Chico Forti si è sempre dichiarato estraneo ai fatti e vittima di un errore giudiziario. E se fosse così? E se, proprio come lui, nelle carceri di tutto il mondo ci fossero altri italiani che non meritano di essere rinchiusi lì dentro? Riprendiamo le carte che parlando dei nostri “Prigionieri del silenzio”. E riportiamoli a casa.

Irma Annaloro

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