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27/02/2021 — DIRITTO ALLA FELICITÀ E ALLA SICUREZZA PER UNA NUOVA VISIONE DELL’ITALIA ATTRAVERSO LA LENTE DI UNA COSTITUZIONE RIFORMATA

Secondo la Fondazione Guido Carli, presieduta da Romana Liuzzo, per non perdere la rotta bisogna avere come faro l’etica e come punto cardinale il diritto alla felicità…che dovrebbe essere inserito nell’art. 3 della Costituzione” (Corriere della Sera, 24.2.2021, pag. 27)

A questa intuizione aveva già dato seguito il sen. Manuel Vescovi che ha immaginato nella propria riforma costituzionale – AS 1869, “Modifica alla Costituzione in tema di Stato federale e forma di governo presidenziale”, depositato in Senato lo scorso 4 luglio (“Independence Day”) – l’introduzione nell’art. 3, comma 2, Cost. dei sostantivi “sicurezza” e “felicità”, oltre la sostituzione della parola “lavoratori” con il vocabolo “cittadini” e la qualificazione della Repubblica come “federale”. La riformulazione della disposizione, pertanto, risulta essere la seguente:” É compito della Repubblica federale rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà, la sicurezza, la eguaglianza e la felicità dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”.

Sono innovazioni autenticamente incisive, non solo di ordine giuridico, ma anche e soprattutto di tipo culturale e psicologico, quasi che possano determinare una “atmosfera”, una “ambientazione” tali da modificare alla radice i rapporti reciproci fra cittadino e Stato. La locuzione “cittadini” ripetuta al posto del termine “lavoratori” cambia l’angolo prospettico, mettendo al centro della politica, della economia e della società italiana non “espressioni” evocanti i membri dei soviet, ma cives attivi e operosi in una comunità fra pari in cui i migliori emergono.

Sicurezza e felicità non sono distanti fra loro ma due facce della stessa medaglia o, forse, collocate sulla stessa faccia.

La sicurezza provoca serenità e la serenità è coessenziale alla felicità.

La sicurezza si avvicina a quelle figure mitologiche elleniche i cui corpi sono composti da porzioni umani e parti di animali di varie specie. La sicurezza possiede una struttura tridimensionale nella quale l’incolumità personale si accompagna alla sicurezza pubblica e a quella urbana.

L’incolumità della persona è intesa – secondo il Canestrari –  come “sfera di signoria” sulla propria corporeità e come “diritto all’intangibilità” della stessa contro le intromissioni di tipo sensoriale e percettivo; l’incolumità individuale non è sempre violata – come dichiarano l’Altolisei e il Mantovani –  a seguito della produzione di una malattia organica o di un dolore fisico, potendo essere sufficiente la loro semplice messa in pericolo.

La sicurezza pubblica, invece, è di più ampio respiro, e si riferisce prevalentemente all’incolumità dei cittadini (nel loro insieme) e alla tutela della proprietà, mentre la sicurezza urbana è volta a garantire una buona qualità della vita ai cittadini, anche attraverso il pieno godimento di uno spazio urbano decoroso con la rimozione del degrado umano, edilizio ed urbanistico.

La felicità sposta l’attenzione del Legislatore dal “tutto”, dal collettivismo marxista e dalla comunità liberal-democratica, al benessere pisco-fisico della persona, fattore non interno al sistema valoriale e normativo dell’ordinamento giuridico ma esterno ad esso, stella polare da seguire, porto da raggiungere, meta da perseguire, pulsione cui tende ogni individuo lungo la propria vita e che potrà divenire diritto programmatico coperto dall’ombrello costituzionale.

Lo stesso benessere organizzativo –  previsto dalle normative in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e in tema di pubblico impiego fra il 2008 e il 2017 –  è elemento anticipatore del diritto alla felicità da Vescovi voluto nella “sua” Costituzione: “Per benessere organizzativo si intende la capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il benessere fisico, psicologico e sociale di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori che operano al suo interno. Studi e ricerche sulle organizzazioni hanno dimostrato che le strutture più efficienti sono quelle con dipendenti soddisfatti e un “clima interno” sereno e partecipativo. La motivazione, la collaborazione, il coinvolgimento, la corretta circolazione delle informazioni, la flessibilità e la fiducia delle persone sono tutti elementi che portano a migliorare la salute mentale e fisica dei lavoratori, la soddisfazione degli utenti e, in via finale, ad aumentare la produttività.”(dal sito  “https://www.miur.gov.it/benessere-organizzativo“). Non è forse il sintagma “benessere organizzativo” un modo diverso di indicare un anelito di felicità, un aspetto metafisico che prevale sulla fisica della quotidianità, e che Governo e Parlamento hanno ventilato per il mondo della Pubblica Amministrazione? E perché non estenderlo a quello privato e all’intera Nazione?

Il c.d. “diritto alla felicità”, seppur indubbiamente avente una caratura individuale, non può non essere calato nella sfera comunitaria in forza dell’art. 2 Cost. Parimenti alla possibilità che la realizzazione del proprio interesse economico conduca ad un miglioramento economico per tutti, il benessere del singolo scaturito dalla felicità potrebbe altrettanto dar vita ad un vantaggio per l’intero gruppo sociale.

“La ricerca della felicità” è prevista nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti del 4 marzo 1776, che fece suo il pensiero del giurista e filosofo partenopeo Filangeri.  

Molti anni dopo nel Regno del Buthan (denominato anche Druk Yul, piccolo Stato sito nell’area himalayana) il re Jigme Singye Wangchuck, nei primi anni del 1970, propose di costituire il FIL (Felicità Interna Lorda) come principio guida degli sforzi per il miglioramento degli standard di vita, incluse la prosperità spirituale e la preservazione dei valori culturali e ambientali, prendendo, fra l’altro, in considerazione la qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione, nonché la ricchezza dei rapporti sociali.

Ed ecco che il nuovo comma 2 dell’art. 3, Cost, integrato con la locuzione “felicità dei cittadini”, costituzionalizza anche in Italia questa “tensione emotiva” fatta non solo di obiettivi materiali, concreti, fisici, ma anche, e prevalentemente, di etica, spiritualità, sentimenti, psiche e idealità. La felicità è uno – o meglio “lo” – stato d’animo che muove il nostro agire e posizionarlo all’interno della Carta vuole significare accentuare, potenziare e valorizzare al massimo la spinta primigenia dell’agire umano. Fornire dignità costituzionale al diritto alla felicità contribuisce ad innalzare il “foro interno”, rafforzando le pulsioni più intime e positive di ogni cittadino italiano nel suo peregrinare in direzione del benessere, certamente materiale, ma inevitabilmente anche morale e psicologico. Già il solo sforzo di cercare di sentirsi felici a cascata coinvolge favorevolmente il gruppo umano cui si appartiene e, di rimando, l’intero edificio politico, economico e sociale. Il benessere interiore prodotto dalla felicità migliorerà ineluttabilmente le dinamiche economiche e finanziarie non solo proprie, ma persino della società nella sua interezza.

E si potrebbe scoprire, come disse Platone, che: “L’uomo più felice è quello nel cui animo non c’è alcuna traccia di cattiveria.”.

Prof. Fabrizio Giulimondi

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