L’EVOLUZIONE DEI RACCONTI: DAL FALÒ AL PODCAST

Dalla caverna al cloud: il falò diventa virtuale

Quando il sole tramontava dietro le colline di basalto e la notte avvolgeva la valle di un nero così fitto da sembrare un abisso, il clan si stringeva attorno al falò. Le fiamme danzavano come spiriti vivaci, proiettando ombre che si allungavano sulle pareti della grotta e trasformavano rocce e cespugli in cavalieri e draghi. Non c’era ancora la parola narratore, ma c’era Ghar, l’uomo dalle mani callose e dalla voce calda, che sapeva piegare il vento con le sillabe. Ghar non raccontava storie solo per ingannare il tempo: le sue parole erano pietra e legno, erano caccia e raccolto, erano la differenza fra un inverno vissuto o un inverno sopportato. Raccontava la lotta fra il lupo e la luna, spiegando perché i branchi si muovono in cerchio; raccontava il fiume che piangeva per la sua amata montagna e  insegnava dove cercare l’argilla. Ogni sera il fuoco si consumava, ma il ricordo delle storie restava, come brace sotto la cenere, pronto a riaccendersi nel cuore di chi avesse avuto bisogno di coraggio o di consolazione.

Passarono i millenni e il falò diventò il focolare domestico, poi la piazza del mercato, quindi la taverna fumosa di un villaggio di pescatori. Le storie cambiarono pelle: prima di  cacciatori e spiriti si fecero di re e regine, navi che oltrepassavano colonne d’erba di bronzo, eroi che rubavano il fuoco agli dèi. Ma il contesto era sempre lo stesso: un cerchio di persone, un narratore al centro, un patto antico sigillato dal battito delle mani o  dei cuori. Il tempo si dilatava: un attimo di silenzio prima del colpo di scena durava quanto un intero inverno e la voce dell’artefice di parole sapeva far tremare i vetri delle finestre senza mai alzare il tono. Erano storie che si portavano dietro il profumo del pane appena sfornato e il gusto del vino agrodolce, che si infilavano sotto le coperte come bambini stanchi e poi riemergevano nei sogni, più vere di qualunque cronaca.

Arrivò poi la magia dell’etere: la radio. Improvvisamente il cerchio non era più un luogo fisico, ma un’onda invisibile che attraversava montagne e oceani. Nelle cucine delle case operaie, nelle officine dove l’olio odorava di catrame, nelle camere da letto dove le ragazze si stringevano ad un cuscino, arrivava la voce di Sandro Ciotti mentre descriveva un goal della squadra del cuore, o di Mike Bongiorno che trasformava la noia di un pomeriggio qualsiasi in una corsa al tesoro di domande e risposte. La radio era un falò portatile: bastava girare la manopola e il buio si riempiva di storie. I nonni raccontavano di quando, durante la guerra, avevano nascosto il ricevitore sotto il materasso per ascoltare Radio Londra, e di come quella voce lontana fosse sembrata più vicina di qualunque amico.

Poi arrivò la televisione e il racconto divenne immagine: le storie non si limitavano più a vibrare nell’aria, si potevano *guardare*. C’era chi diceva che la voce da sola fosse morta, che i bambini non avrebbero più immaginato draghi perché avrebbero avuto i dinosauri in plastica a cinquemila lire. Ma la verità è che il fascino si era solo sdoppiato: c’erano i racconti da vedere e i racconti da sentire. Così, senza che nessuno se ne accorgesse, l’uomo aveva imparato a portare il falò in tasca: prima con il transistor, quindi con il walkman, quindi  con lo smartphone.

Oggi il cerchio è diventato un feed. Il falò è un piccolo microfono USB e la voce che lo accende può partire da un garage a Portland o da un salotto a Palermo. È il **podcast**, la moda del momento che in realtà è la forma più antica di tutte: una persona, una storia, un ascoltatore. Un podcast è un file audio  o talvolta video  che puoi scaricare o ascoltare in streaming quando vuoi, dove vuoi. Non ha palinsesto, non ha pubblicità che non puoi saltare, non ha bisogno di presentatori in giacca e cravatta. È come se Ghar, l’uomo del falò, avesse trovato il modo di entrare nella tua tasca e di sussurrarti la storia della luna e del lupo mentre sei in fila alla posta. I temi? Qualsiasi: dalla filosofia stoica al serial killer di Marsala, dalla ricetta della carbonara perfetta all’intervista con l’astronauta che ha fatto la pipì nello spazio. Il microfono è il nuovo tamburo: batte il ritmo e il mondo intero balla, anche se ognuno resta nel proprio soggiorno.

Eccoci qui, a chiudere il cerchio. La tecnologia cambia, ma l’uomo resta lo stesso: ha ancora bisogno di raccontare e di farsi raccontare, di trovare nel caos un filo che lo guidi. Il falò è diventato una schermata luminosa, Ghar magari si chiama Marco o Giulia  e ha un account Spotify, ma il patto è identico: tu mi offri un po’ del tuo tempo e io, in cambio, ti restituisco il mio sguardo sul mondo, mentre infinite storie sono in attesa che qualcuno dia loro voce.

A cura di Mark W. McDowell

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