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26/12/2021 — MAFIA, ECONOMIA E GLOBALIZZAZIONE

Il 25 ottobre 2016, con una risoluzione del Parlamento europeo recante raccomandazioni alla Commissione sull’istituzione di un meccanismo dell’UE in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali, gli europarlamentari hanno chiesto l’adozione di un piano d’azione per l’eliminazione della criminalità organizzata, della corruzione e del riciclaggio di denaro. Il Parlamento europeo ha chiesto norme a livello unionale per la confisca dei beni appartenenti alle organizzazioni criminali ed il loro riutilizzo a fini sociali, oltre per la protezione del denunciante e dell’informatore degli organi inquirenti.   

Vi può essere corruzione senza mafia (la minuscola è voluta), ma non esiste mafia senza corruzione: il contrasto alla corruzione costituisce fatalmente anche un contrasto alla mafia.

Il settore degli appalti pubblici è di primaria appetibilità per la mafia che vi vede un modo per riciclare capitali illeciti trasformandoli in formalmente leciti, fornendo nello stesso tempo occupazione alle classi più disagiate. Questo è un salto sociale e, mi si passi l’espressione, “culturale”, che le organizzazioni criminali stanno realizzando: dalla fase intimidatoria e violenta sino ai primi anni ’90 (la stagione terroristica capitanata da Riina) a quella della cooptazione della volontà umana tramite l’offerta di vantaggi legittimi ed utilità legali, come un posto di lavoro. La mafia, così, si conforma ad impresa, paragonabile ad una grande azienda multinazionale che vive nell’illegalità utilizzando, però, percorsi apparentemente rispettosi della legge. La prevenzione dell’infiltrazione mafiosa nelle gare d’appalto è uno dei grimaldelli principali per ostacolare l’avanzata del potere economico-malavitoso, consentendo solamente alle imprese sane e tecnicamente e finanziariamente attrezzate la partecipazione a procedure ad evidenza pubblica: se ne avvantaggia lo Stato, che riceve lavori, servizi e forniture qualitativamente di valore, ed il mercato, che vede valorizzati i suoi operatori migliori.

Il rating di legalità e quello di impresa vanno esattamente in questa direzione. Il primo diventa un vero e proprio motore concorrenziale per le imprese, grazie ad un sistema di valutazione delle aziende, a fini premiali o sanzionatori, basato sul rispetto della normativa e dei codici di autoregolamentazione. L’affidabilità di un operatore economico è di primaria importanza non solo per la stazione appaltante, ma per le stesse imprese in fase di affidamento dei lavori in sub-appalto: è in questa fase che la mafia si insinua ed è in questa fase che deve essere bloccata. Il rating di impresa soccorre le stazioni appaltanti nella individuazione del soggetto aggiudicatario, che deve possedere, sin dalla presentazione dell’offerta, requisiti reputazionali in merito alle proprie capacità organizzative, gestionali, economico-finanziarie, tecnico-professionali ed esperienziali.

Quanto sino ad ora accennato suggerisce la necessità di investire in trasparenza: una Pubblica Amministrazione intesa come una turatiana “Casa di vetro” costituisce il più grande ostacolo all’opera di corruttela, che sostanzia uno dei principali cromosomi del DNA mafioso; parimenti una legislazione chiara, ben scritta, comprensibile e fruibile agevolmente da ogni operatore economico ed imprenditoriale onesto, capace e competente, costruisce una solida diga alle infiltrazioni criminali.

Gli open data formano gli anticorpi ai condizionamenti delinquenziali negli apparati pubblici: di questi anticorpi più se ne immettono nel sistema e più la resistenza alla ramificazione metastatica mafiosa è efficace e vincente.

Credo che oramai si sia preso coscienza che la mafia, o meglio, le mafie, rappresentino un problema non solo di ordine interno alla sovranità nazionale, ma anche di sicurezza internazionale.

Il fenomeno sociale ed economico della globalizzazione ha coinvolto inevitabilmente anche le mafie, che oramai interloquiscono fra di loro e stipulano accordi criminali ed affaristici similmente a qualsiasi altro soggetto privato o pubblico. La mafia è un modello agevole da esportare, una sorta di format da prendere a modello e riprodurre nei territori più disparati.

La dimensione sempre più marcatamente transnazionale dei processi economici, specialmente sul versante finanziario, rischia di mettere fuori gioco gli strumenti giuridici e legislativi tradizionali a base nazionale. Le più sofisticate forme di criminalità organizzata si muovono in uno spazio astatuale e, persino, in quello virtuale, rarefatto ed etereo del web, accumulando immani capitali sparpagliandoli poi in una vasta rete opaca e sfuggente di alleanze. Per questo immaginare e progettare un’Antimafia a livello europeo può dare vita ad un percorso di effettivo contrasto al fenomeno della globalizzazione criminale. È necessario rafforzare la cooperazione del sequestro e della confisca dei beni mafiosi all’estero, unitamente al consolidamento della cooperazione internazionale, rendendo capaci gli uffici giudiziari e di polizia italiani di compiere azioni oltre i confini patrii.

Parallelamente alla globalizzazione delle mafie si deve procedere alla globalizzazione del dialogo fra autorità giudiziarie e di polizia italiane, europee ed extra-europee.

Le cosche mafiose seguono i capitali e la mafia con la scoppola in testa e lo scacciapensieri in bocca è un antico retaggio che può piacere ai cineasti, ma non corrisponde più alla realtà odierna: i mafiosi gestiscono affari di ogni genere, oramai poliglotti, avvezzi all’informatica più complessa ed esperti di regole della finanza e dell’economia. Mafia, infatti, vuole dire commercio di droghe, ma anche “ricollocazione” di materiale inquinante e radioattivo, oltre che tratta di esseri umani.

Come afferma il compianto sociologo Bauman, non si possono fornire risposte locali a problemi globali, vista la presenza di mafie in tutto il globo terracqueo.  

La diversità delle normazioni penali sostanziali e processuali fra i vari ordinamenti appare di lapalissiano ostacolo alla cooperazione internazionale e, per tale ragione, è opportuno in seno alla Comunità internazionale renderle maggiormente omogenee ed incisive.

Non da ultimo il sopraggiungere di “fuoriusciti” dalle “cosche” ha determinato, in alcuni casi, un cambiamento “strutturale” delle associazioni mafiose, che, talora, hanno assunto una fluidità ed una diffusività particolarmente difficoltosa da controllare e arginare.

Come “cosa nostra” (anche qui il minuscolo è voluto) parla linguaggi criminali diversificati con variegate modalità operative a seconda di dove agisce, altrettanto deve essere multiforme l’azione portata innanzi dagli ordinamenti giuridici a livello nazionale, comunitario e sovranazionale.

Non posso concludere questo breve articolo senza ricordare il lavoro incessante di prevenzione e contrasto compiuto dalla Magistratura e dalle Forze dell’Ordine, avendo ancora davanti agli occhi i tanti, i troppi eroi, fra giudici e componenti delle forze di polizia, che hanno dato la propria vita, o sono rimasti gravemente feriti, in questa incessante battaglia contro – e non è enfatico– questo “Male Assoluto” dei nostri tempi.

Prof. Fabrizio Giulimondi

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