Scuola, crollano i soffitti e pure la sua credibilità. Ma dove vogliamo andare?
Può l’emergenza sanitaria salvare una vita? Siamo arrivati al paradosso. Sì, perché con i soffitti delle scuole italiane che continuano a crollare, non resta che chiederci cosa sarebbe successo se a Salerno e a Palermo, dove sono crollati il solaio nelle aule di due istituti scolastici, i nostri ragazzi fossero stati seduti ai loro posti. E invece dobbiamo ringraziare la didattica a distanza che ci ha risparmiato l’ennesimo disastro. Assurdo. Ma in questo paese, le scuole non perdono soltanto i loro soffitti. Perdono anche la loro credibilità e quella forza attrattiva che ci porta ad essere “esportatori” di cervelli nel mondo. O, almeno, se andiamo avanti così. Con un’emergenza nell’emergenza.
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Se si fosse investito qualche soldo in più sull’edilizia e sulla digitalizzazione e qualche euro in meno sui banchi a rotelle (che oggi, con molti istituti chiusi, non servono più a nessuno), forse oggi non ci ritroveremmo a parlare di istruzione nel caos. Eppure, la denuncia era già arrivata prima dell’apertura delle scuole. Quando già in mezza Europa (Francia, Gran Bretagna e Germania) gli istituti scolastici avevano riaperto i propri cancelli e i ragazzi sedevano tra i loro banchi in sicurezza. Ma non in Italia. Dove il caos continua a regnare sovrano. Con ordinanze regionali che mandano tutti a casa e il Governo che stabilisce una didattica a distanza per i più grandi, lasciando in aula elementari e medie (escluse le aree territoriali caratterizzate da scenari di “elevata gravità e da un livello di rischio alto”). Ma a che prezzo? A quali condizioni stiamo mandando i nostri ragazzi a scuola? La ministra Azzolina lo ha ribadito più volte: la scuola è un luogo sicuro. Sì, forse. Il problema è arrivarci.
La gravità della situazione è tutta nelle parole di una giovane insegnante romana delle elementari che qualche giorno fa mi ha espresso tutta la sua preoccupazione: “Ho paura – ha confidato – Perché vedo i bimbi ammassati sui mezzi di trasporto e tanti assembramenti all’ingresso. La scuola in cui insegno ha già cinque aule in isolamento. E siamo solo all’inizio dell’anno scolastico”. Senza parlare, poi, del fatto che decidere di chiudere le scuole affidandosi al livello di maturità dei ragazzi è un rischio grandissimo che si corre. Perché trovarseli, poi, seduti al bar o in giro per le strade, magari anche con la mascherina abbassata, è cronaca di questi giorni. E non certo un segreto di pulcinella.
Insomma, chiudere le scuole mentre fuori dilaga l’emergenza non sembra una scelta proprio ragionevole. Di fronte, poi, a numeri allarmanti che ci ricordano come la dispersione scolastica in Italia, negli ultimi cinque anni, abbia raggiunto anche il 15% degli studenti. Con picchi in territori come ad esempio la Calabria (zona rossa).
Che fare allora? Iniziamo ad assumere docenti e insegnanti di sostegno, dato che le assegnazioni degli incarichi hanno subito forti ritardi e molte cattedre sono ancora scoperte. Iniziamo ad assumere personale amministrativo, che non sempre riesce a far fronte alla mole di lavoro, e incrementiamo la sorveglianza per controllare che gli alunni vengono smistati all’ingresso. Stanziamo fondi per sistemare le strutture e per implementare il grado di digitalizzazione degli istituti. E poi, pensiamo a quanto sia indispensabile, ora soprattutto, la figura del medico scolastico. Sarebbe una scelta dettata dal buon senso. Perché la scuola italiana merita certezze e sostegno.
Irma Annaloro