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Sospeso il provvedimento dell’ autorita’ di governo della regione sicilia…

QUELLO STRANO PAESE IN CUI DIFENDERE GLI INTERESSI REALI DELLA COLLETTIVITA’ DIVIENE SEMPRE PIU’ ARDUO SE NON IMPOSSIBILE. 

Quando hai il nemico in casa e fai finta di non saperlo. La riprova sta tutta nell’ ennesimo corto circuito tra la funzione politico amministrativa dello Stato, delle regioni e degli enti locali e la funzione giurisdizionale sempre più esercitata in via autoreferenziale piuttosto che “in nome e per conto del popolo sovrano ossia nell’ ambito del più comune sentire della collettività che lo dovrebbe rappresentare.

La vicenda è nota ed è di questi giorni. Il presidente della Regione Sicilia Musumeci con propria ordinanza, ed in virtù dei poteri a questi conferiti dalla Costituzione e dallo Statuto speciale della Regione, con propria ordinanza, in ragione delle supposte emergenze sanitarie di cui egli è istituzionalmente responsabile quale massima autorità nell’ isola,  previo preventiva diffida aveva disposto la chiusura di tutti gli hotspot e i centri di accoglienza che di fatto non si presentavano più in regola con i requisiti igienico-sanitari previsti e disciplinati dallo stesso Governo per la prevenzione del contagio da Covid-19. Analogamente aveva disposto per tutti i porti e gli scali dell’ isola in relazione all’ attracco di tutte le imbarcazioni interessate al trasporto dei clandestini da sbarcare nell’ isola.

Come altrettanto noto il Tar Palermo, su ricorso giurisdizionale con contestuale istanza di sospensiva cautelare proposta dallo stesso Governo e dall’ attuale Ministro dell’ Interno Lamorgese, in accoglimento di quest’ ultima e con straordinaria celerità, ne ha disposto l’ immediata sospensione dell’ efficacia con il ripristino dello status quo ante in attesa della decisione nel merito che è stata fissata al prossimo 17 settembre ed il cui esito, visto il fortissimo pronunciamento nel merito nel decreto presidenziale di sospensione, risulta ampiamente scontato.

Sin qui i fatti che, come prevedibile non potevano non dar luogo all’ ennesimo scontro politico e alle più disparate letture ideologiche e che parimenti richiedono una loro lettura ben più articolata.  Opportuno allora cercare di approfondire la questione non solo sotto il profilo formale ed ordinamentale, quanto piuttosto nei suoi aspetti sostanziali di merito.   

Alla base dell’impugnazione la considerazione che la gestione del fenomeno migratorio è competenza esclusiva dello Stato, e non delle Regioni, per la verità sollevando più un conflitto di attribuzione che di legittimità, ma le cui ragioni, inaudita altera parte, sono state prontamente accolte dall’ Autorità Giudiziaria amministrativa. 

Il Tar ha infatti accolto la richiesta di sospensione cautelare del provvedimento, fondando il relativo provvedimento, non soltanto sulla base della attuale riparto di competenze ex art. 117, co. 2 della Costituzione, assumendo che la regione abbia finito per invadere l’ alveo di competenze in materia di politica migratoria riservata in via esclusiva dallo Stato, ma anche sulla base della considerazione del fatto che la mancata sospensione avrebbe avuto i suoi diretti riflessi non soltanto nell’ ambito della regione stessa, ma anche sull’ intero territorio nazionale sul quale il ricollocamento dei migranti avrebbe avuto il suo diretto impatto con la conseguenza che altre regioni a quel punto avrebbero potuto adottare analoghi provvedimenti con immediate ricadute sull’ ordine pubblico, altra materia parimenti riservata in via esclusiva allo Stato. Sempre il giudice di legittimità osservava che gli stessi presupposti dell’ ordinanza di chiusura risultavano non adeguatamente suffragati da una adeguata istruttoria esaustiva in ordine alla diretta correlazione tra gli affollamenti di migranti presso gli hot spot e l’ effettivo rischio di diffusione del contagio.

Motivazioni quelle di cui sopra che se appaiono da una parte ineccepibili in punta di diritto, appaiono d’ altra parte entrare nel merito di una sola parte del problema tralasciando aperta e senza risposta altre di non minor conto sotto il profilo del merito.

Valutazioni che, a giudizio di chi scrive, presentano il loro vulnus, più sotto il profilo dell’ opportunità e del merito che dal punto di vista strettamente formale, atteso che il relativo provvedimento è stato adottato come detto “inaudita altera parte” nonostante pare ne sia stata fatta formale richiesta e che il giudice cautelare sia andato ben oltre il “chiesto e pronunciato” entrando pesantemente nel merito delle questioni. Cosa quest’ ultima che poteva comunque legittimamente fare alla sola  condizione di decidere a questo punto nello stesso merito della questione pronunciandosi definitivamente con sentenza sulla fondatezza o meno del ricorso governativo tralasciando il rito camerale. Rito camerale che, de Jure condito, avrebbe potuto (e non dovuto in questa fase) comunque opportunamente contemplare la pienezza del contraddittorio con la presenza di tutte le parti che ne avessero fatto richiesta e che assai gravemente non è avvenuto anche se, lo si ripete, giuridicamente corretta, in quanto la pienezza del contraddittorio, in questa fase pre cautelare risulta essere di prerogativa esclusiva del Presidente, che può anche legittimamente  pretermetterla così come avvenuto.

Ma cosa come detto ancor più grave è il fatto di aver tralasciato alcuni aspetti rispetto ad altri. Se da una parte è infatti vero che il nuovo modello di riparto delle competenze tra Stato e regioni che muove dalla riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, si fonda sull’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva su alcuni gruppi di materie tra le quali sicuramente, giusto il secondo comma dell’ art. 117 della Costituzione, l’ Ordine e la Sicurezza pubblica in generale  e la politica migratoria in particolare, attribuendo alle regioni la competenza residuale su tutte le restanti materie che non spettano né allo Stato né alla competenza concorrente, è anche vero che la suddetta Carta prima ancora della forma di Stato e di Governo come della sua organizzazione, di cui al suo Titolo V,  è giustamente preceduta dalle sue norme di principio e sui diritti inviolabili della persona altrimenti detti come irrinunciabili. Anteporre esigenze di governo dell’ ordine pubblico a quelle prioritarie di sicurezza pubblica appare allora una vera e propria forzatura. Le stesse modifiche al Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale allorchè il divieto alle pubbliche manifestazioni avrebbe potuto fondarsi solo su motivi di sicurezza pubblica (tutela della incolumità fisica delle persone)  e non su motivi di ordine pubblico (l’ ordinata convivenza civile) stanno palesemente a dimostrarlo.

Il Giudice della legittimità pare invece superare detto aspetto dietro una generica affermazione di una carente istruttoria sui motivi sanitari presupposti, per focalizzarsi esclusivamente su aspetti legati al riparto di competenze, all’ ordine pubblico e alla politica migratoria, tralasciando la prevalenza costituzionale dei primi rispetto ai secondi. In buona sostanza il decreto presidenziale di sospensione fonda la sua motivazione prevalentemente sull’ impatto negativo su altre regioni della ricollocazione dei migranti a seguito del provvedimento impugnato e quindi sull’ attinenza di questo alla materia dell’ immigrazione riservata in via esclusiva allo Stato, liquidando con una asserita carenza di istruttoria sanitaria l’ aspetto che invece si assumeva come prevalente. Motivazione quest’ ultima, sempre a parere di chi scrive, contraddetta in partenza dagli stessi provvedimenti governativi che pongono come fondamentale per la sicurezza sanitaria il distanziamento sociale di fatto impossibile a realizzarsi negli hot spot sovraffollati fino al collasso senza per questo dovere dimostrare come il mancato rispetto di esso sia correlato all’ incremento dei rischi di contagio. E che detti sovraffollamenti siano un pericolo in concreto più che un pericolo in astratto lo dice la comune scienza e coscienza. Se vanno bene gli hot spot affollati allora dovranno andar bene gli stadi, le discoteche ed i concerti affollati a pena di una grave, anzi gravissima contraddizione. Ne il Tar può fondare le sue decisioni di legittimità su problemi tecnico amministrativi o organizzativi del Governo da egli stesso creati con la sua dissennata politica migratoria che di fatto ha letteralmente triplicato il numero degli sbarchi clandestini visto che lo stesso Viminale certifica che i clandestini sbarcati nel periodo 1 gennaio /25 agosto sono 17.504, ossia più del triplo di quelli dell’anno scorso.

Era palese che  i segnali costantemente inviati da parte del Governo, e quindi della male rappresentata Italia, a partire dalla volontà di demolire i decreti sicurezza, la tolleranza verso quelle  ONG che hanno di fatto nel traffico di esseri umani il  loro principale core business, il finanziamento delle politiche migratorie con milioni di euro destinati a tutte le cooperative interessate a fini di lucro all’ accoglienza, i contratti milionari con le compagnie di navigazione per l’ allestimento delle navi quarantena e, come da ultimo, con la dannosa ed inutile sanatoria dei clandestini impegnati nelle attività di raccolta agricola, erano una dichiarata chiara apertura a favorire chi lucra nel business dell’ immigrazione. Un traffico in cui pochi guadagnano e sono invece in molti a rimetterci a cominciare da tutti quei cittadini che vedono affievolirsi sempre più le risorse economiche da destinare all’ ammodernamento e allo sviluppo del Paese senza contare gli innegabili problemi di sicurezza ed inevitabile rischio terroristico da parte di numerosi potenziali “lupi solitari” o disperati che stiamo importando in  gran numero.

E ciò che si muove dietro questo traffico, al di la della finanza internazionale speculativa (Soros docet), sta ad essere dimostrato anche dal recente finanziamento dello street artist Banksy di una nuova nave per soccorrere i migrantinel Mediterraneo: una imbarcazione, già operativa nell’area e che ha già “salvato” 89 clandestini. E non è un caso che la nave in questione prenda il nome nientemeno che dall’anarchico francese del XIX secolo “Louise Michel”. La negazione ed il rifiuto dello Stato e delle sue leggi: appunto.

E questa enorme spendita di denaro pubblico a danno dei cittadini e dei loro bisogni, avviene ovviamente sotto l’ occhio compiaciuto di un Europa che ha tutto l’ interesse a far si che l’ Italia rimanga il Paese su cui si riversa l’ intero problema migratorio, e quindi ben lungi dal rivedere gli accordi di Dublino. Un Italia inutile dirlo che si vuole sia quanto più prostrata possibile e quindi costretta a vendere per due soldi l’ argenteria di casa (leggi grandi gruppi destinati a passare di mano), a pubblicizzare e quindi a ricomprare dal privato ciò che a questi era stato svenduto, e quindi da ultimo vederla alla fine costretta, non potendo incrementare ancor di più la pressione fiscale, a richiedere prestiti a titolo oneroso che arricchiranno i soliti noti sempre  a danno  dei cittadini con la complicità di accordi sottobanco sottoscritti da chi ci governa in cambio di maggiore flessibilità e permanenza al potere.

Cosa ancor più grave questa se posta alla luce della grande crisi economica post pandemica che sta attraversando il Paese e che ha coinvolto anche tutte le economie internazionali sia pure tenendo presente che in detta crisi se gli altri stati hanno il raffreddore noi siamo in piena polmonite.

Se infatti è pur vero, come rileva l’ Ocse, che la crescita del Pil nell’ intera area rispetto all’anno precedente è stata meno 10,9% nel secondo trimestre del 2020, dopo una crescita di meno 0,9% nel trimestre precedente, e se è anche vero che nel secondo trimestre del 2020 i principali Paesi industrializzati hanno subito un calo del Pil senza precedenti e che l’economia si è contratta del 9,8%, contro l’1,8% dei primi tre mesi dell’anno precedente in un rapporto significativamente peggiore del -2,3% anche rispetto al  primo trimestre del 2009, allorchè si era nel picco negativo dettato dalla crisi finanziaria scaturita da quella dei sub prime, è anche vero che, a parte  il dato peggiore registrato dal  Regno Unito, il nostro Paese vanta ora un non invidiabile secondo posto.

Ma la crisi prima ancora che economica, è piuttosto politica in una politica senza rappresentanza e sociale in una società che ha smarrito i suoi fondamenti.  

Rimane piuttosto evidente come il male essenziale rimane quello di un Paese, l’ Italia, che continua ad essere poco coeso e nel quale rimangono profonde le differenze ideologiche per le quali ancora nel XXI secolo siamo a parlare di fascismi, di nazionalismi, di resistenze antifasciste senza fascisti, e di profonda ostilità alla libera iniziativa economica e all’ imprenditoria, laddove il merito di fare impresa è più una colpa che un valore.  Divisioni così profonde nella nostra società che già all’ indomani della Costituente, subito dopo il secondo conflitto mondiale portarono all’ attuale Carta Costituzionale da Salvemini definita come la concessione di una rivoluzione promessa rispetto alla rivoluzione mancata e dove la ingovernabilità, il reciproco sospetto e condizionamento tra i poteri dello Stato, doveva avere la prevalenza rispetto al decisionismo e alla governabilità. Opera quest’ ultima più volte avallata dalle pessime leggi elettorali che portano ad una classe politica più rappresentativa che selettiva.

E laddove la politica cede il suo passo alla sua funzione primaria nel suo più nobile senso di governare nell’ interesse di tutti e quindi del generale rispetto agli interessi di pochi e del particolare, ecco che la magistratura va a ricoprire ruoli che non le appartengono  e che più che un distinto potere dello Stato, si atteggia sempre più come potere autoreferenziale che non applica le leggi, ma bensì condiziona la loro formazione e forzando la relativa interpretazione secondo l’ opportunità del momento come ampiamente dimostrato dalla recente inchiesta che ha coinvolto il loro massimo organo di autogoverno e come l’ attuale rinvio a giudizio disposto nei confronti dell’ex consigliere del Csm Luca Palamara, accusato di diversi episodi di corruzione stanno a dimostrare.

E questo, sia detto ancora una volta e sottolineato, nonostante la stragrande maggioranza dei giudici, troppe volte lasciati soli e dimenticati se non appartenenti a filo doppio alle correnti, operi con grande abnegazione e dedizione al dovere nella massima onestà intellettuale a baluardo contro la criminalità e la corruzione dilagante dei cosiddetti “poteri forti” al loro stesso interno.

Il problema lo abbiamo detto più volte non è più nei singoli casi o episodi che scandalizzano quanto piuttosto di riforma del nostro stesso ordinamento a partire dalla sua Carta fondamentale che va ampiamente riformata non tanto nei suoi principi fondamentali e quindi in materia di diritti della persona e del cittadino, quanto piuttosto nella sua parte chiamata a disegnare l’ architettura di uno Stato maggiormente efficiente in cui sia possibile governare e assumersi la responsabilità delle proprie decisioni sia pure in una chiara chiave politica di alternanza e distinzione tra chi governa e chi controlla e nel quale ai cittadini, e quindi ai governati,  sia restituito il diritto di scegliersi i propri governanti.

Un ordinamento che rispetti i principio della separazione dei poteri, ma che mai più spinga quest’ ultimo a permettere che il legittimo esercizio di un potere possa arrivare al punto di paralizzare l’ attività dell’ altro nel rispetto delle reciproche sfere di competenza, sulla base del fatto che, sia pure divisi i relativi poteri, questi ultimi non possano mai più essere altro rispetto all’ ordinamento in cui si inseriscono ed al suo interesse generale rappresentato dalla collettività che lo compone sia pure ovviamente nel rispetto e nella preferenza di leggi che non dovranno mai più essere piegate ad interpretazioni ideologiche autoreferenziali.

Diversamente assisteremmo ad una vera e propria confusione tra attività di indirizzo politico e di gestione amministrativa da una parte e funzione giurisdizionale dall’ altra.

Nessuno Stato, nemmeno il più forte nel difendere gli interessi dei propri cittadini, potrà infatti mai permettersi di avere i propri nemici al suo stesso interno. E fino a quando a finire sotto processo sono coloro che difendono gli interessi del Paese piuttosto di chi tende a distruggerlo fin dalle sue fondamenta, possiamo ben dire che  qualcosa davvero non funziona.

Mauro Mancini Proietti