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Il Covid non ci ha reso più tristi. Ora pensiamo alla felicità come un diritto.

Non troppo tempo fa la Fondazione “Guido Carli”, presieduta dalla nipote dell’ex presidente della Banca d’Italia, Romana Liuzzo, ha promosso un incontro sul futuro dell’etica (si è trattato di una lectio magistralis che ha visto protagonisti Gianni Letta e l’imprenditore Brunello Cucinelli) con la proposta di introdurre il diritto alla felicità nell’articolo 3 della Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza. L’idea in realtà, riprende l’esempio della Dichiarazione d’Indipendenza americana. Ma anche nel nostro Paese non è nuova.

Perché già il senatore Manuel Vescovi con la sua proposta di legge costituzionale “Modifiche alla Costituzione in tema di Stato federale e forma di governo presidenziale” aveva ragionato sull’ipotesi di prevedere una cosa simile anche nella nostra Carta Costituzionale. E chissà se così facendo l’Italia potrà rivendicare uno status, in termini di felicità, certamente più alto rispetto a quello attuale. La verità è che c’è chi sta peggio di noi. Ma, c’è anche chi sta molto meglio. Ed è il caso di dirselo proprio oggi, all’indomani della Giornata Internazionale della Felicità che ricorre il 20 marzo di ogni anno.

Secondo l’ultima classifica del World Happiness Report, che ha rielaborato i dati raccolti dal Gallup World Poll, l’Italia si trova al 25esimo posto, risalendo dal 28esimo di un anno fa (la Finlandia pare essere il paese più felice al mondo). Insomma, il Covid non ha peggiorato la situazione. E non ha avuto effetti negativi sul benessere soggettivo delle persone. O almeno così pare. In realtà c’è da dire che il World Happiness Report analizza il grado di fiducia che la popolazione ripone nei confronti della propria comunità. Che, a quanto pare, non deve essere stata poca, se consideriamo il dato positivo rispetto ad un anno fa. La pandemia è stata vista come una minaccia comune ed esterna. Ha coinvolto tutti, generando un senso di paura e impotenza nei confronti di ognuno di noi. Non solo. Perché tutto questo ci ha portato ad essere più solidali nei confronti del prossimo e a pensare che soltanto uniti è possibile vincere qualunque battaglia. Anche la più difficile.

Pensare alla felicità come ad un diritto, riconosciuto dalla Costituzione e tutelato dallo Stato nei confronti di tutti noi, equivale a dire che non si può credere di risolvere il problema della povertà e puntare alla crescita economica del nostro Stato se prima non promuoviamo il benessere della collettività. Sostenere un valore come la felicità e difenderlo come punto di riferimento e modello per la società, è il primo step da cui partire per fare in modo che tutti i cittadini possano raggiungere il pieno sviluppo della propria persona. Felicità significa essere se stessi, essere liberi da ogni condizionamento, essere in grado di poter realizzare le proprie ambizioni e soddisfare i propri sogni. Persone felici fanno un Paese felice. Forse abbiamo bisogno anche di questo per cambiare la nostra amata Italia.

Irma Annaloro

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