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Armenia e Azerbaigian, sintesi di un conflitto non solo regionale.

Nella notte tra il 9 e il 10 ottobre i Governi di Armenia e Azeribaigian hanno siglato un cessate il fuoco che ha temporaneamente sospeso le ostilità che duravano da circa 15 giorni.

Il quadrante dello scontro è  il Caucaso meridionale, punto nevralgico da secoli per molte Potenze; i due Paesi confinanti non potrebbero esser più diversi: a ovest l’Armenia orientata al modello democratico occidentale e di cultura cristiana a est l’Azerbaigian, islamico e con un sistema politico autoritario segnalato da svariati osservatori internazionali  come basato su leggi che “limitano i diritti e le libertà fondamentali” e con “43 attivisti per i diritti umani, giornalisti, esponenti politici e religiosi imprigionati”[1]

All’interno del territorio azero si trova il Nagorno Karabakh, enclave di circa 150.000 abitanti per la quasi totalità di lingua e cultura armena, autoproclamatosi indipendente nel 1991 col sostegno armeno ma non riconosciuto come Stato dalla comunità internazionale.

Già durante gli ultimi anni di esistenza dell’Unione Sovietica le sorti di questo piccolo territorio sono fonte di conflitto aperto fra le due ex Repubbliche Sovietiche che si sono scontrate nel periodo 1988-1994 e nel 2016.

Armenia e Azerbaigian sono entrambi impegnati nel ‘Piano d’Azione Individuale di Partnership’ con la NATO[2], ma l’Armenia è anche membro dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva controllato da Mosca, mentre il turcofono Azerbaigian ha rinsaldato il proprio legame con la Turchia, che sembra essere intervenuta a sostegno diretto delle Forze armate azere durante queste settimane di conflitto.[3]

L’attuale cessate il fuoco e le trattative per una pace duratura avvengono sotto l’egida del Gruppo di Minsk, la struttura creata dall’OSCE e formata da USA, Russia e Francia, che già nel 1994 mise provvisoriamente fine alla guerra tra i due Paesi.[4]

Il cessate il fuoco oggi è raggiunto senza la partecipazione della Turchia e costituisce un esplicito stop all’espansionismo che Erdogan, anche per motivi di stabilità interna, persegue febbrilmente verso l’Asia centrale e non solo: molteplici interventi in Siria (culminati con l’occupazione di una zona di territorio siriano a sud del confine turco), l’esplicito supporto militare e politico in Libia a supporto del Governo di Accordo Nazionale guidato da Al Serraj, l’intervento diplomatico per normalizzare i rapporti fra Al Fatah e Hamas con l’obiettivo di prendere il posto dei Paesi del Golfo quale protettore della causa palestinese, il crescente interventismo nel mediterraneo orientale in aperto contrasto con la Grecia e con l’Unione Europea.

Se la Turchia dispone dei mezzi militari per sostenere questa politica assertiva e aggressiva nel breve e medio termine non si può dire che disponga della forza economica per continuarla nel lungo periodo: il PIL turco è caduto da più di 863 miliardi di dollari nel 2016 a circa 755 del 2019,  la banca centrale turca ha bloccato temporaneamente la caduta di valore della Lira turca vendendo i dollari usa delle proprie riserve[5] e prendendoli a prestito dalle banche turche: il problema è ora come poter fronteggiare il buco di bilancio della stessa banca centrale.

Se un Paese pienamente democratico fosse in questa situazione, sicuramente ridurrebbe il proprio costoso impegno militare all’estero: ma la Turchia di Erdogan non è pienamente democratica e ,paradossalmente, proprio la situazione economica critica potrebbe essere causa di una politica estera ancora più aggressiva.

A questo punto è chiaro che la presenza della Turchia in Azerbaigian e della Russia in Armenia e l’interesse di Francia e USA ma anche della NATO e dell’Unione Europea agli equilibri nel Caucaso rendono evidente che uno scontro che appare come regionale e isolato geograficamente ha per converso una portata complementare a quanto avviene in altri quadranti e un rilievo potenzialmente globale.

Sen. Massimo Candura

Vicepresidente Commissione Difesa


[1] Human Rights Watch – World Report 2019

https://www.hrw.org/world-report/2019/country-chapters/azerbaijan

[2]Pag. 183-184 “The Military Balance 2020” International Institute for Strategic Studies, Routledge 2020

[3] https://worldview.stratfor.com/article/f-16s-reveal-turkeys-drive-expand-its-role-southern-caucasus

Sembra che un Su25 armeno sia stato abbattuto da un F16 turco

[4] https://www.analisidifesa.it/2020/10/tregua-in-nagorno-karabakh-putin-mette-fuori-gioco-erdogan/

[5] https://foreignpolicy.com/2020/08/11/erdogan-economic-disaster-turkey-banks-debt-dollars/