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Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. I numeri drammatici aggravati dalla pandemia

Chi non ha mai conosciuto la violenza, chi non ha mai provato cosa significa avere quelle mani pesanti e forti sopra la propria pelle, chi non ha mai subito una pressione anche solo psicologica non può capire quanto sia importante anche solo per un giorno riflettere su una piaga sociale che ancora oggi coinvolge tantissime donne nel nostro Paese. Anzi, nel mondo. Perché è proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità a rivelare come il 35% delle donne abbia subito violenza. Non basta un giorno per ripulire il pianeta da una macchia rossa che mortifica e umilia il genere umano.

Ma intanto ci obbliga ad una riflessione sull’importanza di una Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Istituita ufficialmente dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999. La scelta del giorno non è casuale. E ci riporta a quel 25 novembre del 1960, quando tre donne, le sorelle Mirabal, furono uccise nella Repubblica Dominicana per essersi opposte alla dittatura di Rafael Trujillo, presidente che aveva governato il paese centroamericano dal 1930 al 1961.

Oggi, la situazione è ancora drammatica. L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo non ha fatto altro che peggiorarla e aggravarla. E tutti i dati, a partire da quelli certificati dall’Istat, lo dimostrano.

Basta dare uno sguardo veloce ai dati pubblicati di recente da ActionAid. Tra marzo e giugno 2020, le chiamate al numero antiviolenza sono aumentate del 119,6% rispetto allo stesso periodo del 2019, superando le 15mila. Numeri drammatici che ci fanno riflettere su quanto l’isolamento sociale e il lockdown della scorsa primavera abbiano alimentato, purtroppo, molestie, episodi di stalking e violenze nei confronti delle donne. Generando un aumento di maltrattamenti e atti persecutori soprattutto nei mesi successivi alla quarantena. A dimostrazione di come la pandemia non abbia solo colpito la salute fisica dei cittadini, ma anche quella mentale e psicologica.

Un contesto drammatico confermato anche dal Dossier Viminale presentato lo scorso agosto 2020. Dal 9 marzo al 3 giugno sono morte 44 donne in ambito familiare su 58 omicidi di tipo affettivo. In 89 giorni di lockdown è morta una donna ogni due giorni, vittima di un componente della sua famiglia. Sebbene i dati del dossier confermino che, nell’ultimo anno, in Italia, gli omicidi sono diminuiti, rimane alta la percentuale dei crimini commessi in ambito familiare: su un totale di 278 omicidi registrati tra agosto 2019 e luglio 2020, 149 sono familiari e 104 hanno avuto una donna come vittima.

Eppure, sono ancora tantissime le donne che non denunciano. Forse per paura o per mancanza di sicurezze. E’ bene dirselo. Un Paese che ha intenzione di ripulirsi da questa piaga sociale non può far altro che prendersi cura della vita di queste donne. Difenderle. Accompagnarle in un percorso di rinascita verso una nuova vita. Da dove iniziare? Prima di tutto, non sottovalutiamo il prezioso contributo che i Centri Antiviolenza e le case rifugio possono offrire in questo. La ripartizione dei fondi è ancora molto indietro. La percentuale liquidata dalle Regioni è troppo bassa. Sarebbe bene accelerare questo processo e lavorare ancora. Perché le donne non devono essere lasciate da sole.

Irma Annaloro